Ambiguita’ e pericoli della prevenzione
I difetti del decreto legge italiano sulla “data retention” erano stati segnalato da ALCEI nel suo comunicato del 23 dicembre 2003 – e hanno poi dato luogo a dibattiti e polemiche, anche in ambito internazionale, per problemi di “privacy”. Ma il il tema ha implicazioni molto piu’ ampie, come spiegato nel nuovo documento di ALCEI di cui riassumiamo qui alcuni punti.
Cresce la tendenza a trasformare il criterio di responsabilita’ dalla sanzione degli effetti di un comportamento a punizione di uno “status” considerato “a priori” come colpevole.
Cosi’ il concetto di prevenzione si trasforma in sanzione arbitraria contro categorie, reali o immaginarie, di “presunti trasgressori”. E’ evidente che queste definizioni, approssimate e arbitrarie, permettono a chiunque abbia poteri di controllo e sanzione di perseguitare, con un varieta’ di pretesti, chiunque sia sgradito, dissenziente o scomodo.
La “data retention” (con criteri arbitrari di analisi e classificazione dei contenuti) consente di creare tanti “modelli comportamentali” quante sono le necessita’ di chi indaga – come di chiunque, per qualsiasi motivo, ha accesso ai dati. Aprendo cosi’ la strada a indiscriminate schedature di massa.
Si sviluppano indagini e processi (e altre forme di persecuzione) contro “identita’ virtuali” che possono facilmente essere create “ad hoc” secondo ogni sorta di pregiudizi o di intenzioni persecutorie. E’ una forma di “neo lombrosismo” che permette di creare “ad libitum” categorie di presunti “criminali tendenziali” o “tipologie predisposte”. Una specie di pogrom istituzionalizzato e occulto, senza neppure la visibilita’ di un pregiudizio etnico o culturale pubblicamente dichiarato.
La difesa dei diritti civili e delle liberta’ individuali non riguarda solo la “privacy”. E va molto oltre il caso specifico di questo mal concepito decreto legge – solo un episodio in una serie che tende continuamente a peggiorare.