Comunicato ALCEI del 21 giugno 2005

Abusi e connivenze: non si tratta solo del “caso Aruba”

Il 21 giugno 2004 è venuto alla luce un fatto preoccupante, che purtroppo è tutt’altro che un caso isolato. Si è scoperto che un server, collocato presso la webfarm di Aruba, è stato sottoposto per un anno (all’insaputa dei suoi proprietari) al controllo della polizia postale, che è in grado di verificare, copiare e conservare tutti i suoi contenuti – nell’ambito di un’indagine che riguarda una sola casella di posta. Il server appartiene dell’associazione Autistici/Inventati – uno dei punti di riferimento telematici dell’opinione antagonista italiana – e i fatti sono riassunti in un suo comunicato stampa.

Più che il fatto specifico (già  ampiamente documentato in informazioni disponibili online) è importante osservare il fenomeno in una prospettiva più generale. Per ogni caso singolo che viene messo in evidenza, ce ne sono migliaia che sfuggono a ogni “onore delle cronache”, o rimangono chiusi in difficilmente accessibili documentazioni istruttorie o archivi riservati delle forze dell’ordine.
Un’analisi più dettagliata degli aspetti tecnici, giuridici e normativi si trova in un allegato. Qui ci limitiamo a una sintesi dei punti più rilevanti.
Il problema è tutt’altro che nuovo. Infatti da dieci anni ALCEI chiede che durante le indagini di polizia vengano rispettati i diritti di chi non è nemmeno indagato e tuttavia subisce il sequestro della propria corrispondenza (nonché, in troppi casi, persecuzioni di varia specie, fra cui l’illegale e inaccettabile sequestro di computer e altri strumenti tecnici).
Fin dalle origini dell’internet ipotesi di violenze e altre illegalità  sono state il pretesto per ogni sorta di censure, invadenze e illegittimi controlli che vanno molto al di là  dei reali obiettivi di repressione del crimine. Con la crescente minaccia del terrorismo la situazione si è, ovviamente, aggravata.

Il fatto è semplice, nella sua evidente gravità . Si approfitta dell’occasione offerta da qualche ipotesi riguardante attività  illegali (anche se spesso molto meno gravi e pericolose dei crimini terroristici) per allargare l’indagine a cittadini e organizzazioni non solo innocenti, ma anche del tutto estranee a qualsiasi attività  o comportamento che possa suscitare sospetti.
Ogni notizia di attività  odiose e pericolose viene sistematicamente sfruttata per chiedere “maggiori poteri”, che spesso si traducono in indiscriminate e incontrollate “licenze di spiare” anche in direzioni che non hanno alcun rapporto, reale o plausibile, con la repressione del crimine. Non è raro che ciò avvenga con il passivo consenso, se non la volontaria connivenza, di imprese private che non esitano a violare in diritti di chi si serve delle loro risorse.

E’ ovvio, quanto grave, che la continua proliferazione di questi abusi (che non hanno alcuna utilità  per il contrasto al terrorismo o ad altre attività  criminali) è una grave violazione non solo dei diritti di chi usa la rete, ma in generale della libertà  di opinione e di comunicazione, della società  civile e di fondamentali diritti dei cittadini.