Documento del 10 giugno 1997

L’ascolto del bambino e della famiglia nella società che cambia

Sintesi delle osservazioni proposte da Giancarlo Livraghi per ALCEI nel gruppo di lavoro “Formazione e informazione per i bambini attraverso i media” al convegno del Telefono Azzurro.

Il tema delle “nuove tecnologie” in relazione ai minori deve essere affrontato, secondo me, con una visione concreta molto lontana sia da quella pericolosa “demonizzazione” che ha cosଠchiaramente denunciato qui oggi la Dott. Eva Schwartzwald, sia dalle esagerate e fantascientifiche fantasie di cui sono affollati non solo giornali e programmi televisivi, ma anche convegni e congressi con pretese di “scientificità “. L’ingiustificato o esagerato “terrorismo” e gli eccessivi “avvenirismi” pseudo-tecnologici sono ugualmente nocivi: perché allontanano o distraggono i giovani, le famiglie e gli educatori dai valori umani, civili e formativi che le nuove tecnologie rendono possibili.

Occorre innanzitutto capire che (nonostante le proiezioni di gigantismo e di crescita “esponenziale” di cui troppo si vaneggia) la telematica, come esperienza socialmente diffusa, è ancora in fase infantile in tutto il mondo, e specialmente in Italia. Se nel caso della televisione alcuni problemi si affrontano dopo che il mezzo si è affermato e diffuso per quasi mezzo secolo, nel caso della comunicazione elettronica interattiva siamo appena agli inizi: c’è tutto il tempo per affrontarlo e studiarlo in modo ragionevole e sistematico – e per farlo evolvere nelle direzioni pi utili e costruttive.

Prima di arrivare ai possibili pericoli e aspetti negativi, credo che sia importante concentrare l’attenzione sui potenziali aspetti positivi. Li definisco intenzionalmente potenziali perché l’attuarsi di questi desiderabili sviluppi non dipende dalle tecnologie, ma dalla cultura; e non è qualcosa che possiamo aspettarci di ricevere passivamente, come accade nei mezzi tradizionali, ma che sta a noi generare, produrre e incoraggiare. La fondamentale differenza fra i mezzi tradizionali e gli orizzonti aperti dalle nuove tecnologie non sta nei linguaggi “multimediali” o “virtuali” (parole spesso prive di sens o) ma nell’interattività  – intesa non come interazione fra persona e macchina, ma come interazione fra persona e persona.

Mi sembra importante osservare (come giustamente rilevato anche nella “Carta di Desenzano”) che uno dei fondamentali impegni civili e sociali in quest’area riguarda l’estensione dell’accesso alle categorie meno “privilegiate”. Non parlo qui dei “paesi in via di sviluppo” (anche se è un tema estremamente importante) nè del mio sogno (tutt’altro che irrealizzabile) di veder nascere un “computer a manovella” (o forse a pannelli solari?) collegato “via etere”… concepito con la stessa intenzione di quella “radio a manovella”, recentemente inventata in Inghilterra, che tanto ha entusiasmato Nelson Mandela.

Penso alla concreta, precisa e immediata possibilità  che, anche in Italia, un “dialogo senza frontiere” apra spazi nuovi di relazione e di scambio per singoli adolescenti come per scuole, gruppi volontari eccetera. (Manca qui lo spazio per approfondire le ovvie differenze fra un bambino e un adolescente e i diversi modi in cui queste possibilità  possono attuarsi secondo le fasce di età ).

Questo significa soprattutto diffondere cultura (termine che, per il suo significato più ampio e profondo, preferisco a “alfabetizzazione”) ma anche uscire dalla rincorsa un pò folle del software inutilmente “pesante” e di macchine a sempre più alte prestazioni – che, se conviene a miopi interessi commerciali, non giova a un’autentica crescita dei valori sociali e di servizio di cui le reti telematiche possono essere un valido strumento.

Occorre anche ricordare che “non tutto è internet”. Hanno, e continueranno ad avere, un ruolo fondamentale in questo sviluppo culturale e civile le reti civiche, i BBS, le community network, insomma le reti legate al territorio o a particolari impegni sociali, di cui abbiamo molti significativi esempi anche in Italia.

A costo di ripetermi, vorrei affermare con forza che tutti questi sviluppi non dipendono dalle tecnologie (che sono in continua, confusa e imprevedibile evoluzione) ma dall’impegno culturale e civile. Le tecnologie passano… la cultura umana resta.

Il problema è che manca la guida, perché se i bambini e gli adolescenti sono impreparati, lo sono anche gli adulti – e in particolare gli educatori. “Se il sale è insipido, con che lo si salerà ? ” Settanta adulti su cento, in Italia, “credono di sapere” che cos’è la rete. Meno di uno su cento lo sa davvero.

La strada è una sola: sgombrare il “polverone” delle tecnomanie e dei terrorismi, e dare a famiglie ed educatori una concreta cultura della rete e delle sue possibilità . L’impresa è meno complessa di quanto si possa immaginare. Le nozioni fondamentali (sul piano culturale e del comportamento, cioè su ciò che conta) si possono spiegare in mezza giornata o in un opuscolo di 32 pagine.

Strumento fondamentale, ovviamente, la scuola: sia per l’uso didattico che si può fare, a tutti i livelli, delle nuove tecnologie; sia per l’orientamento che la scuola può dare agli alunni e alle loro famiglie. Non abbiamo ancora una documentazione precisa sui progetti di “informatizzazione” della scuola italiana – ma purtroppo abbiamo motivo di pensare che si sia partiti col piede sbagliato e che questo rischi di creare ogni sorta di problemi e “crisi di rigetto” che potrebbero ulteriormente peggiorare la nostra già  grave arretratezza.

E ora veniamo ai pericoli… con il dovere di segnalare, come primo rischio, quello che sulla rete si abbatta la censura. Provvedimenti restrittivi della libertà  di parola e di comunicazione, che si minacciano non solo in Italia ma in tutta Europa, sono un fenomeno di preoccupante ipocrisia. Perché sarebbero del tutto inefficaci nella “protezione dei minori” mentre ci toglierebbero i nostri diritti fondamentali di cittadini; e perché con il paravento di un’immaginaria “tutela” potrebbero allentare quel dovere di responsabilità  e di sorveglianza che compete a genitori e educatori.

Gli esempi potrebbero essere tanti, ma mi limiterò a tre.

1. Il famigerato decency act negli Stati Uniti (che per il momento bloccato perché incostituzionale ma potrebbe risorgere dalle sue ceneri, e trovare “imitatori” in Europa) propone dure punizioni per chi dice o trasmette qualcosa di “indecente” – dove è chiaro che “indecente” può essere tutto ciò che non piace al censore.
2. Una legge in Germania e in Francia vieta l’apologia del nazismo: non ha certo impedito lo sviluppo di movimenti neonazisti, mentre apre il campo alla censura sulla rete in materia di opinioni: cosa ovviamente inaccettabile, per quanto sgradevoli quelle opinioni possano essere.
3. E in Italia… recentemente, con il pretesto della “pedofilia”, c’è stata un’ondata di sequestri, illegali quanto inutili, che hanno colpito decine di sistemi telematici, sospettati di contenere materiale “pornografico” (per quanto ne sappiamo, non collegato ad abusi contro i minori) recando danni gravi non solo agli indagati (la cui “colpevolezza” resta da dimostrare) ma anche ad un gran numero di persone del tutto estranee all’indagine – cioè agli utenti di quei sistemi e alle persone che corrispondono con loro.

Non è con isteriche “cacce alle streghe” che si proteggono i minori o si assicura uno sviluppo sano della comunicazione interattiva.

Lo strumento valido è uno solo: la guida di parenti ed educatori. E non dovrebbe riguardare solo i collegamenti in rete, ma anche altri aspetti delle nuove tecnologie. Per esempio il gioco è uno degli strumenti fondamentali di educazione e apprendimento; e ci sono molti giochi “elettronici” con autentici valori educativi. Ma non tutti possono essere accettati senza verifica. Credo che sia sempre bene sapere a che gioco un bambino sta giocando.

Se non è giusto lasciare un bambino solo davanti a un televisore, non va lasciato solo neppure davanti a un computer. Il problema è che molti educatori e genitori non conoscono lo strumento; ma è un’occasione per imparare a conoscerlo, o almeno condividere anche questa esperienza con i nostri figli. Imparare, con loro, a esplorare nuovi orizzonti. E anche (perché no?) a giocare.